Suicidio assistito. La storia di Fabio Ridolfi che ora chiede di morire

A sinistra, Fabio Ridolfi in un fotogramma del video-appello realizzato con l'associazione Luca Coscioni; a destra, la famiglia Ridolfi nel 2000 (Fabio con la felpa azzurra a sinistra), nello scatto del fotografo Gustavo De Luca
di CECILIA ROSSI e ENRICO MASCILLI MIGLIORINI

URBINO – Da diciotto anni, Fabio Ridolfi trascorre le sue giornate steso sul letto della sua camera, immobile. Gli unici movimenti che riesce a fare sono quelli degli occhi e delle palpebre, che punta e sbatte in direzione di uno schermo fissato davanti al suo viso. Grazie a un puntatore oculare, digita, lettera per lettera, le parole che non può pronunciare a voce.

Una malattia improvvisa ancora senza spiegazione

Era il 2004 e mancavano solo cinque giorni al suo ventottesimo compleanno, quando Ridolfi, che a Fermignano divideva la vita fra lavoro, allenamenti di calcio e prove con la sua band, è stato colpito da tetraparesi. Una malattia irreversibile, causata dalla rottura di un’arteria basilare, che gli ha provocato una paralisi istantanea di tutti i muscoli.

Fabio Ridolfi nella sua stanza a San Silvestro, in un fotogramma del video realizzato con l’associazione Luca Coscioni

A seguire il suo caso è stato fin da subito Giorgio Cancellieri che, oltre a consigliere regionale ed ex sindaco di Fermignano, è anche medico curante della famiglia Ridolfi. “Non abbiamo mai capito cosa abbia causato la malattia. La sua arteria si è chiusa improvvisamente”, racconta al Ducato. “Non mi spiego come sia potuto accadere a un ragazzo così giovane. È stato devastante, non solo per la famiglia, ma per tutto quanto il paese”.

LA BATTAGLIA PER IL FINE VITA – Dall’attesa al via libera della Regione

Nella piccola frazione di San Silvestro, dove vive la famiglia Ridolfi, chi ha più di 35 anni ricorda bene Fabio. “Ero innamorata dei suoi bellissimi riccioloni”, racconta un’amicaFabio, suo omonimo e compagno di classe, ripensa a quando giocavano insieme e al pane con la Nutella che preparava la sua mamma.

I ragazzi più giovani, invece, conoscono Fabio solo di nome. Erano dei bambini dell’asilo quando lui si è ammalato. Ridolfi era già steso sullo stesso letto in cui si trova oggi, mentre loro finivano le medie, si diplomavano e si laureavano.

IL SOSTEGNO DELLA LUCA COSCIONI – Mina Welby: “Fabio è una grande persona”

Anni e anni di terapia non hanno cambiato la situazione, e oggi, a 46 anni, Ridolfi si trova a vivere una vita che non vuole. Per questo, nel 2020, ha chiesto l’aiuto di Andrea, suo fratello maggiore e suo amministratore di sostegno, per contattare Mina Welby, co-presidente dell’associazione Luca Coscioni, da sempre in prima linea per la battaglia sul fine vita.

Con lei Ridolfi ha iniziato il percorso legale per l’accesso al suicidio assistito, culminato nel parere positivo del Comitato etico della Regione Marche. “È una grande persona”, racconta, “sono felice che sia riuscito ad avere ascolto. La sua famiglia accetta la sua volontà, per cui sarà molto facile per lui compiere questo passo. Ognuno di noi dà senso alla vita per come riesce a farlo”, spiega Welby. “Credo che Fabio lo abbia dato così, con ciò che sta facendo”.

Fabio Ridolfi davanti allo schermo su cui scrive con un puntatore oculare, nel video dell’associazione Luca Coscioni

Parere positivo, ma incompleto

Lo scorso 19 maggio è stato riconosciuto il diritto di Ridolfi a terminare la propria vita senza soffrire, ma il parere, emesso l’8 aprile, è rimasto per 40 giorni dentro a un cassetto della Regione prima di essere recapitato al diretto interessato. Ma “il parere positivo è incompleto”, denuncia l’associazione Luca Coscioni. “Nulla dice sulle modalità di attuazione e sul farmaco da usare affinché la volontà di Fabio possa finalmente essere rispettata”.

L’Asur area vasta di Pesaro e Urbino, la Regione Marche e l’assessore regionale alla Sanità Filippo Saltamartini non hanno finora risposto alla richiesta del Ducato per far luce sui motivi del ritardo e dell’incompletezza del documento.

Tutto cambia dopo il video-appello: “Stato, aiutami a morire”

Il parere del Comitato è arrivato 24 ore dopo la pubblicazione del video-appello che Ridolfi ha realizzato insieme alla Luca Coscioni. “Gentile Stato, aiutami a morire. Ogni giorno la mia condizione è sempre più insostenibile” è il messaggio del filmato. Gli unici rumori sono il respiro pesante di Ridolfi e il click continuo dei tasti sullo schermo, puntati con gli occhi e scelti con un battito di palpebre.

Movimenti veloci e precisi che senza l’uso di dita o di voce esprimono quei pensieri che non possono essere detti. In un minuto di visione si può “spiare” la quotidianità di tutte le persone che vivono una malattia invalidante come la sua.

Uno dei fotografi di Fermignano, Davide De Luca, scorre l’archivio delle foto di “Quelli del 2000”, un censimento per immagini di tutta la città, dove ritrova anche quella della famiglia Ridolfi. È la numero 87. Si vede Fabio con una felpa azzurra sul lato sinistro. Sorride a malapena. “Nel paese tra ragazzi della stessa età ci si conosce più o meno tutti. So che non gli piaceva essere fotografato, anche i suoi amici più stretti faticherebbero a trovare uno scatto con lui” commenta De Luca.

La famiglia Ridolfi (Fabio è il primo a sinistra) nel 2000. Foto di Gustavo De Luca

La famiglia ha mantenuto molta riservatezza e ha deciso di non parlare troppo della malattia “ma l’uscita del video sui social ha acceso i riflettori su questa terribile storia di sofferenza” aggiunge il fotografo.

Le passioni e gli affetti: “Quello che lo ha aiutato”

Nel filmato, intorno al letto dove è sdraiato Ridolfi, si vedono bandiere, maglie e sciarpe giallorosse. Tutti in paese sapevano che era un romanista accanito. “Camera sua è un tempio della Roma”, racconta Cancellieri. “Questa passione è stato molto di aiuto per lui. Anche se, in casa con padre e fratello interisti, i battibecchi non mancavano”.

Fabio non perde una sola partita della “Maggica”. E di calcio se ne intende, da ragazzo, giocava in porta nel Fermignano, insieme al fratello Andrea, solo un anno più grande di lui. Insieme avevano formato anche una band dove Fabio, appassionato di heavy metal, suonava la batteria. “Sono inseparabili fin da bambini, loro due”, raccontano gli amici. Con il fratello ha condiviso anche il lavoro, nell’impresa edile di famiglia, prima di diventare muratore in un’azienda locale, la sua ultima professione prima che la sua vita cambiasse per sempre.

About the Author

Cecilia Rossi
Nata e cresciuta nelle Marche, studio a Urbino, dove mi laureo in Comunicazione con una tesi sull'involuzione autoritaria in Ungheria. Ho vissuto per sei mesi a Bruxelles, dove non ho migliorato il mio francese, ma in compenso ho studiato un po' di economia. La maggior parte del tempo leggo libri, lavoro a maglia e mi perdo nei documentari.

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