Vito Minoia, docente Uniurb e pioniere del teatro in carcere: “Un modo per abbattere la recidiva”

di MARIA DESSOLE

URBINO – “Con grande piacere le comunichiamo che la vostra organizzazione, la rete internazionale del teatro in carcere (Intip), è ufficialmente accettata come organizzazione partner dell’Istituto internazionale del teatro (Iti) dell’Unesco“.

Nell’agosto del 2019 il coordinatore della rete internazionale e docente all’università di Urbino, Vito Minoia, riceveva questa lettera dall’Unesco. Il coronamento di 30 anni di lavoro in cui Minoia si è instancabilmente adoperato per permettere che il teatro arrivasse stabilmente dentro le carceri. Un obiettivo di cui beneficia l’intera società: “Si tratta di un’attività che può diminuire sensibilmente il dato della recidiva. Si passerebbe dal 67% al 7%. Un dato assolutamente straordinario”, spiega.

Direttore del teatro universitario Aenigma della Carlo Bo di Urbino, del Coordinamento nazionale del teatro in carcere, Vito Minoia ha vinto l’ultima edizione del premio “La fiaba popolare. Tra tradizione e innovazione”, per il suo impegno nel teatro sociale e pedagogico assegnato dal festival della Fiaba popolare del Rione Terra, Pozzuoli.

Vito Minoia alla premiazione del festival della Fiaba popolare del Rione Terra, Pozzuoli

Sentito dal Ducato, il professor Minoia ha raccontato come funziona l’attività teatrale negli istituti penitenziari delle Marche, in particolare nel carcere di Pesaro, dove collabora come direttore teatrale.

Il teatro in carcere

“L’attività di teatro in carcere in Italia si è diffusa negli ultimi 40 anni, con i primi studi e ricerche attivati all’università di Urbino, a partire dagli anni ’90, quando io ero collaboratore del professor Emilio Pozzi, che insegnava storia del teatro e dello spettacolo alla facoltà di Sociologia. In quel periodo creammo la rivista europea “Catarsi – teatri delle diversità”, racconta il direttore.

Uno degli spettacoli curato dal Teatro Aenigma di Urbino

I numeri raccolti dell’osservatorio Antigone dicono che l’attività teatrale è la più diffusa tra quelle proposte negli istituti penitenziari italiani. Nel 2009, insieme al professor Emilio Pozzi, Minoia ha mappato gli istituti aderenti in Italia: erano 32. A distanza di 13 anni la mappatura di Antigone mostra un incremento: sono 75 gli istituti che aderiscono a questo tipo di progetto, e oltre 100 i laboratori attivi.

Esempi della funzione rieducativa e pedagogica del teatro in carcere sono le storie dei detenuti della sezione di alta sicurezza del carcere di Rebibbia, protagonisti del film diretto da Paolo e Vittorio Taviani “Cesare deve morire“. La storia racconta la messa in scena da parte dei detenuti del Giulio Cesare di William Shakespeare, sotto la direzione del regista teatrale Fabio Cavalli.

Una considerevole parte di questi detenuti, una volta completata la loro pena, è definitivamente uscita dal sistema penitenziario. Salvatore Striano, l’interprete di Bruto nella messa in scena, è poi diventato un attore affermato, recitando al cinema e sulle scene teatrali, oltre ad aver scritto tre libri ispirati liberamente alla sua esperienza di vita. Il film dei fratelli Taviani ha ottenuto il prestigioso riconoscimento dell’Orso d’oro al Festival di Berlino del 2012.

La locandina del film “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani

Gli spazi per l’attività teatrale

La legge 354 del 1975 sull’ordinamento penitenziario specifica che le carceri dovrebbero ospitare dei locali adatti a rispondere alle esigenze culturali. Tra di essi rientra lo spazio dedicato all’attività teatrale. Una raccomandazione ribadita, su insistenza di Vito Minoia, dal protocollo triennale per la promozione del teatro in carcere, firmato dal ministero della Giustizia.

Chi si impegna a realizzare un laboratorio teatrale lo fa in modo del tutto gratuito. “Speriamo che, con il tempo, le istituzioni possano individuare un sostegno economico adeguato” si augura il professor Minoia.

Le differenze regionali

Il direttore porta come esempio tra le regioni “più evolute sull’idea di sostenere il teatro in carcere” la regione Toscana, che da 25 anni ha una legge per sostenere le attività in tutte le carceri del suo territorio.

Esiste un forte sbilanciamento tra nord e sud. “Al sud le occasioni di sostegno alle attività sono inferiori rispetto al centro e al nord Italia. Nelle Marche, il sostegno regionale da solo non soddisfa quella che potrebbe essere un’attività continuativa”. La regolarità del progetto “è il segreto della riuscita” continua Minoia.

Nelle Marche sono ventidue i teatri storici sul territorio, sei le case circondariali. Il rapporto tra il numero dei teatri storici e il numero delle carceri è di quattro a uno. Tanti piccoli teatri poco sfruttati.

“Abbiamo già avuto la possibilità di portare spettacoli all’esterno degli istituti e quando possibile anche nei teatri storici. Ricordo un’esperienza fatta una decina di anni fa nel teatro storico con la tragedia di Shakespeare Coriolano. Iniziativa molto bene accolta anche da quella comunità. Purtroppo non tutti i lavori possono essere autorizzati per un’uscita all’esterno, ma le Marche sono la regione dei teatri storici, candidati a patrimonio dell’Unesco, e sarebbe importante riconoscere questa specificità”. Non sono previsti eventi, invece, nell’anno di Pesaro capitale italiana della cultura: “Non ci risulta nulla in programma. Ci auguriamo che il 27 marzo, giornata nazionale del teatro in carcere, possa offrire uno spunto, quantomeno per organizzare un momento di riflessione”.

Il Teatro delle Muse di Ancona, il più grande delle Marche

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