DI EMILIA LEBAN
URBINO – Stefania Benedetti è un’imprenditrice. È titolare di un’azienda che produce presse per stampaggio, non lontano da Civitanova Marche. È il 29 settembre del 2017. Stefania, che all’epoca aveva 35 anni, passa in ufficio per recuperare delle pratiche. Vede un collega che sta spostando un blocco di ferro e gli dice: Aspetta, ti do una mano”. Il blocco di ferro si stacca e la sua mano sinistra rimane schiacciata. Quello è il giorno che Stefania chiama “della sua rinascita”, il giorno in cui ha deciso che doveva sfruttare la sua esperienza e metterla al servizio degli altri, soprattutto dei più giovani. È diventata una formatrice testimonial dell’Anmil, un’associazione che raccoglie le testimonianze dei lavoratori infortunati per fare formazione e informazione in aziende e scuole. “Lì mi sento normale in un mondo di anormali”.
L’intervista del giornalista Rai, Filippo Gaudenzi, a Stefania Benedetti ha aperto l’incontro pomeridiano della prima giornata del Festival internazionale della salute e della sicurezza sul lavoro, organizzato dalla Fondazione Rubes Triva e ospitato nella sala del trono di Palazzo Ducale a Urbino. “Il festival è internazionale come sono internazionali i temi che qui vengono trattati: la salute e la sicurezza dei lavoratori appartengono a tutti, al di là dei confini dei singoli Stati”, ha spiegato durante l’apertura dell’evento il direttore di Rubes Triva Giuseppe Maluzzi.
Sì al patto istituzionale ma l’Italia ha bisogno di una “cultura della sicurezza”
La discussione del panel di esperti e rappresentanti sindacali è ruotata attorno all’invito del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a elaborare un patto istituzionale per fermare le morti sul lavoro. Ben vengano i patti, è la risposta del panel, ma in Italia, come in tutti gli altri Paesi, bisogna lavorare soprattutto sulla cultura della sicurezza.
“Il 28 aprile abbiamo celebrato la Giornata mondiale della sicurezza sul lavoro. È stato pubblicato un rapporto in cui risulta che ogni anno ci sono almeno tre milioni di persone che perdono la vita sul posto di lavoro. Cosa possiamo fare noi come Italia e Unione europea? A prescindere dalla produzione normativa dobbiamo creare una cultura della prevenzione – ha dichiarato il direttore ad interim Itc-Ilo Giuseppe Casale – bisogna puntare sulla professionalizzazione e l’educazione del personale. E per farlo possiamo ispirarci ai modelli nordeuropei”. Si è trovato d’accordo Pierpaolo Bombardieri, segretario generale di Uil: “E’ importante lavorare sui patti, come ha proposto il presidente Mattarella, ma io credo che in questo Paese la questione sia ben più complessa. Una questione di natura culturale che richiede un intervento più ampio”.
“Dobbiamo parlare di salute e sicurezza sul lavoro già dai banchi di scuola, per instaurare una cultura della sicurezza e della legalità – ha aggiunto il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra – e poi è fondamentale rafforzare le ispezioni sui luoghi di lavoro”. Poi è il turno di Maurizio Stirpe, vicepresidente per il lavoro e le relazioni industriali di Confindustria, che ha parlato della necessità di creare un “sistema capace di valorizzare i comportamenti individuali”.
In occasione dei saluti iniziali, il tema della “cultura della sicurezza” è stato approfondito dal direttore regionale dell’Inail Giovanni Contenti: “Quando parliamo di formazione parliamo di un coinvolgimento trasversale. Per questo l’Inail sta lavorando a stretto contatto con i quattro atenei marchigiani. Cerchiamo di fare da apripista a un cambiamento globale”.
Dalla pandemia il mondo del lavoro non è più lo stesso
“In un mondo che è cambiato così tanto con la pandemia, dove il lavoro si mischia in continuazione con la vita quotidiana, anche le responsabilità delle aziende sono cambiate – ha detto di Alessandro Russo, della Giunta esecutiva di Confservizi – l’azienda deve guardare anche agli stili di vita dei lavoratori, adeguando e diffondendo i concetti di sicurezza”.
Daniela Barbaresi, segretaria generale di Cgil, ha confermato il sostegno del sindacato al patto proposto da Mattarella, aggiungendo che uno dei più grandi fattori di rischio nel mondo del lavoro è la precarietà. “Se non si ridà dignità al lavoro i patti non saranno mai sufficienti – ha detto – e se vogliamo garantire la sicurezza, bisogna innanzitutto partire dalla qualità del lavoro. Chi è precario è ricattabile e può accettare di trovarsi in situazioni di pericolo”. Una riflessione proposta in precedenza anche da Paolo Pascucci, docente di diritto del lavoro all’Università di Urbino e presidente dell’Osservatorio Olympus. “Più il lavoro presenta condizioni di irregolarità e più è insicuro. Quando si parla della sicurezza sul lavoro si parla soprattutto della qualità delle imprese”.
“In questi due anni le Marche hanno assistito a un calo degli infortuni – ha detto Stefano Aguzzi, assessore alla tutela e sicurezza sul lavoro della Regione Marche – ma con la pandemia di mezzo è normale. Non dobbiamo abbassare la guardia”.
“Figlio di un padre morto sul lavoro”, la testimonianza del sindaco
A prendere parti ai saluti iniziali è stato anche il sindaco di Urbino Maurizio Gambini, che ha condiviso la sua commovente esperienza: “Mio padre è morto nel 1980, schiacciato da un trattore. Adesso che anche io ho un’impresa agricola ogni volta che mi squilla il telefono ho paura che mi si annunci una tragedia del genere”.
Tra le altre personalità invitate ad aprire l’evento, il direttore della Galleria Nazionale delle Marche, Luigi Gallo, il rettore dell’Uniurb Giorgio Calcagnini, la direttrice del dipartimento di giurisprudenza Licia Califano e il presidente di Rubes Triva Angelo Curcio.