Nubifragi Marche, cosa non ha funzionato. Geologi: “Serve cultura della manutenzione”

Il nubifragio ha aperto un cratere nel centro di Cantiano. Foto Alice Tombesi
di BEATRICE GRECO

URBINO – Dieci sono i minuti impiegati dal fiume Burano per uscire dagli argini e invadere con tutta la sua forza Cantiano, devastandolo. Dieci sono i giorni intercorsi tra la fine dell’emergenza siccità e l’inizio del suo contrario. Proprio il 5 settembre l’assessore regionale alle Risorse idriche Stefano Aguzzi aveva sospeso il prelievo dai pozzi di Sant’Anna (al Furlo) e del Burano, iniziato qualche mese prima a causa della crisi idrica estiva. Il 15 settembre, invece, una violenta bomba d’acqua si abbatte nell’entroterra marchigiano. Lo chiamano “temporale autorigenerante”: è un temporale che man mano che si scarica acquista sempre più forza. Una tenaglia atmosferica che continua a produrre pioggia. In otto ore scendono 420 millimetri d’acqua, la stessa quantità che solitamente si registra in sei mesi, e i fiumi non reggono.

Eventi estremi che saranno la regola

Un evento straordinario che segna il passaggio da una situazione climatica estrema ad un’altra, senza che ci sia un momento di tregua. “È fuor di dubbio che si tratti di un evento eccezionale – afferma al Ducato Piero Farabollini, presidente dell’Ordine dei geologi delle Marche – ma dobbiamo pensare che in seguito al cambiamento climatico questi eventi diventeranno la regola”. Basti pensare che, secondo Legambiente, da gennaio a settembre 2022 l’Italia è stata colpita già da 62 alluvioni contro le 88 di tutto il 2021.

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Per questo Farabollini pensa a una revisione dei parametri usati per le valutazioni: “Non si può più ragionare in termini di precipitazioni medie, ma lo si deve fare tenendo in considerazione i picchi di pioggia” afferma. Una tesi sostenuta anche da Marco Materazzi, geologo e docente all’Università di Camerino. “Con queste situazioni anomale – spiega al Ducato – cominciamo a vedere che le leggi che noi studiamo non funzionano”. Materazzi parla di modellazioni numeriche che possono essere migliorate con un maggiore monitoraggio e un maggior numero di stazioni pluviometriche sparse sul territorio. Una risposta implicita all’affermazione di Paolo Sandroni, responsabile del Centro funzionale multi-rischi della Protezione civile regionale delle Marche, secondo cui anche oggi se “un meteorologo avesse in mano le carte rifarebbe la stessa previsione” del 15 settembre, quando era stata diramata un’allerta gialla.

Il rischio zero non esiste, ma…

Con parametri rivisti e aggiornati sulla scorta dei cambiamenti climatici, il rischio di eventi disastrosi come quello di Cantiano o di Senigallia sarebbe ridotto. “Bisogna fare un’analisi che studi la capacità del fiume di drenare l’acqua anche in condizioni estreme. Ciò che è in eccesso deve essere deviato” dice Farabollini. “L’assetto del fiume deve essere organizzato in modo che regga – gli fa eco Corrado Canafoglia, avvocato senigalliese che segue il Comitato alluvionati del 2014 – Finora noi abbiamo ragionato al contrario. Un po’ come se volessi bere due litri di birra in una tazzina da caffè”.

Cantiano,16 settembre 2022. Foto Beatrice Greco

Anche con parametri rivisti, Farabollini e Materazzi concordano: non esiste il rischio zero, ma la manutenzione può abbassare di molto i danni. Una manutenzione che però, secondo il presidente dell’Ordine dei geologi delle Marche, è quasi nulla: “Manca la cultura della manutenzione. Solitamente si pulisce il letto del fiume e gli argini, ma questo non è sufficiente”. Prova ne è Cantiano dove il Comune, come conferma l’assessore all’Ambiente e al territorio Filippo Gentilotti, aveva effettuato alcuni interventi di ripulitura proprio durante l’estate. Operazioni sul Burano e sul Tenetra localizzate però solo nella zona del centro storico. “La manutenzione deve essere fatta su tutto il corso del fiume, dalla sorgente alla foce – dicono come in coro Farabollini e Materazzi – perché a Cantiano sarà arrivato tutto quello che scende dal monte”.

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I due geologi spiegano che bisogna monitorare e controllare anche i corsi d’acqua minori, perché spesso sono proprio questi a ingrossare i fiumi principali trasportando detriti. “A Cantiano, che è un imbuto di tre corsi d’acqua, i primi disagi sono partiti proprio dal Tenetra e dal Bevano” spiega Farabollini, che però sottolinea come, in ogni caso, la ripulitura effettuata ha evitato la presenza di vittime. “Per come è fatto il nostro territorio, le criticità sono in tutte le aree fluviali” afferma Farabollini. Secondo le tavole dell’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino Centrale, la criticità è però ridotta per la zona di Urbino e per quanto riguarda il Metauro, nella zona di Fermignano.

Dagli argini elastici alle vasche di raccolta

Non solo manutenzione del letto del fiume e del territorio circostante, ma anche argini elastici, cioè aree di libera espansione del fiume in caso di piena. “Come ad esempio le zone agricole – spiega Materazzi – . In caso di straripamento, si ripaga il proprietario. È una soluzione che evita grandi investimenti e abbassa i costi di ripristino”.

Un ponte in parte crollato a Cantiano. Foto Sara Spimpolo

Le opere straordinarie, come le vasche di laminazione o di espansione (di fatto bacini di raccolta della piena), arrivano in seconda battuta. “I lavori, pur costando, hanno costi minori che ricostruire tutto”. Un ragionamento lapalissiano quello di Materazzi, che però sembra scontrarsi con la realtà dei fatti e Senigallia ne è la prova.

Un sistema di prevenzione e manutenzione che non funziona

Tre le grandi alluvioni dal 1976 a oggi e tante piccole esondazioni. “Manca un progetto esecutivo e mancano e sono mancati gli interventi sul fiume, dalla pulizia del letto alla sistemazione della foce. Su 18 chilometri di argine, solo tre chilometri e mezzo sono stati risistemati. E poi si parla delle vasche dal 1977, ma ancora nulla” dice al Ducato Canafoglia. Il progetto per una vasca di laminazione sul Misa era pronto già nel 2020, ma i lavori sono partiti solo a febbraio 2022.

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Canafoglia racconta anche del premio di Legambiente e Protezione civile che nel 2010 Senigallia ha vinto come “comune italiano più virtuoso nel contenimento del rischio idrogeologico”. “Penso sia basato su un’autocertificazione dell’amministrazione comunale, in cui si diceva che le case e i fabbricati a rischio erano stati spostati in zona più sicure. Cosa mai successa” spiega.

Senigallia, 16 settembre 2022. Foto Roberta Rotelli

Che qualcosa nel sistema non funzioni si può evincere anche dalle parole di Claudio Netti, presidente del Consorzio di bonifica delle Marche. “Noi gestiamo la diga di Mercatale. Quando si alza il livello del fiume Foglia, io chiamo il fornaio di Sestino (ndr. comune in provincia di Arezzo da cui passa il corso d’acqua) per sapere quanta acqua arriverà alla diga. I rilevatori di livello ci sono, ma sono a mezzo chilometro da Mercatale e, in caso di piena, avrei l’allarme troppo tardi” spiega Netti al Ducato.

La richiesta alla politica: pianificazione urbanistica e piani di adattamento climatico

Ciò che potrebbe fare la differenza sono i Piani di adattamento ai cambiamenti climatici, documenti che contengano le strategie da attuare per far sì che il territorio sia in grado di sopportare gli effetti degli eventi estremi. “Ogni comune dovrebbe averne uno proprio” spiega Farabollini, sottolineando che Senigallia ne ha approvato uno nel 2018, poi rimasto lettera morta. “Anche Cantiano ne ha uno – conferma l’assessore Gentilotti – ma riguarda l’energia e non prevede gli interventi idrogeologici”.

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Per Netti all’interno del piano dovrebbe essere presente anche un richiamo alle regole di comportamento da seguire nell’emergenza: “Con l’addestramento e l’informazione della popolazione si riduce il rischio – dice – perché neanche nel 2725 riusciremmo a mettere in sicurezza tutti i fiumi marchigiani”. Il presidente del Consorzio di Bonifica Marche avanza anche una sua proposta per la prevenzione: una proposta a costo zero o quasi. “Ci vogliono delle sentinelle sul territorio. Persone che, in caso di allerta, stanno sui ponti a guardare l’andamento del fiume e ad avvisare chi vuole passare. Persone che avvertano la popolazione e dicano cosa bisogna fare in caso di pericolo” spiega al Ducato. Netti poi prova anche a fare un calcolo di spesa: “Ipotizziamo di prendere, per coprire tutti i fiumi marchigiani, 500 volontari e pagarli 50 euro per il servizio. In un anno ci saranno più o meno 20 allerte. Per la Regione sarebbero 500 mila euro di spesa. Non mi sembra una cifra esagerata se confrontata al bilancio e permetterebbe di risparmiare vite umane”.

Per Canafoglia invece la soluzione è la pianificazione urbanistica. Ed è questo che chiede alla politica: un impegno vero in questo senso. “Nessuno se ne occupa perché non porta voti – dice Canafoglia – ma è questo ciò di cui abbiamo bisogno. Pensare il territorio in modo da non scontrarci periodicamente con la furia della natura”.

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